Costume e ballo

Su passu torràu

 I ballerini lo eseguono a piccoli passi senza sollevare le gambe da terra, sfiorando il suolo con le scarpe, disposti sempre a formare un cerchio (tundu = tondo).
A discrezione delle persone che spesso coordinano e “guidano” il ballo, un tempo chiamati sòtzios de ballu (coloro che organizzavano e coordinavano le serate con i balli) possono danzare singole coppie all’interno del cerchio che si è formato (a su ballu vohau) e, a turno con l’alternarsi fra uomo e donna, si danno il cambio con chi è rimasto all’esterno. Non rara, altri tempi, la doppia o tripla fila di ballerini in cerchio (ballos a tre piza, a tre strati) dovuto alla massiccia presenza di persone partecipanti sia in locali chiusi o all’aperto in piazza.
Il ballo è caratterizzato da due movimenti fondamentali: uno serioso, calmo; l’altro prevede “s’intràda” (“entrata” verso l’interno del cerchio), cioè dei piccoli passi in avanti subito seguiti dal “ritorno” sui passi precedenti (torràu = ritornato); prima dei passi indietro, tutta la schiera di ballerini esegue due brevi flessioni generali sulle ginocchia (quasi degli inchini). L’avviso per questa piccola coreografia viene dato discretamente e senza movimenti plateali, cioè con una pressione alla mano già stretta del compagno/a, una invisibile “comunicazione” che ogni ballerino passa velocemente all’altro. Su passu torràu viene ballato in piazza o al chiuso in occasione di feste paesane, coinvolge persone di ogni età e ceto sociale. Si tratta di un ballo semplice, perciò facilmente eseguibile da tutti, accompagnato anticamente solo dalla voce singola e dal canto a tenore, ora soprattutto dall’organetto diatonico, dalla fisarmonica e dall’armonica a bocca.
Questo ballo (conosciuto in Sardegna) è originario proprio del paese di Mamoiada esattamente con questa denominazione, modo di ballare e musica. Il mitico Francesco Beccone, appartenente ad una familiare generazione di suonatori, diceva sempre: “est nostru” riferito a su passu torràu. Non abbiamo fatto in tempo ad intervistare tziu Frantziscu Beccone in supporto magnetico ma, secondo brevi sue anticipazioni, il padre (suonatore anche lui) ha avuto un ruolo importante nella trasposizione in musica de su passu torràu dal canto. Tante persone anziane dei paesi vicini, Orgosolo, Oliena, Nuoro, Ollolai, Gavoi, ancora oggi lo chiamano sa mamujadina (a Gavoi al maschile su mamujadinu). Pare si sia diffuso fra le popolazioni barbaricine in occasione dei loro soggiorni presso il santuario dei SS. Cosma e Damiano, ogni anno durante la loro festa nel mese di settembre; genti che venivano ospitate nelle caratteristiche humbessìas (stanze attorno al santuario). Man mano poi il caratteristico ballo venne conosciuto in varie parti della Sardegna. Negli anni ’50 del 1900 il mitico suonatore Francesco Bande (Bultei, 1930–1988) registrò il ballo a Roma il 16 febbraio del 1957.
Il brano con questo ballo venne chiamato proprio “Sa mamujadina“. Fu inciso anche un 45 giri e venduto in Sardegna. Presso l’Accademia di Santa Cecilia a Roma è catalogato questo raro pezzo con scheda e registrazione audio nella raccolta n° 035 (cliccare qui per sentire)
Francesco Bande, conoscitore e suonatore di tanti balli del centro Sardegna, negli anni ’50 venne a Mamoiada proprio per perfezionare sonorità e passaggi de su passu torrau.
La FASI (Federazione delle Associazioni Sarde in Italia) ha inserito il ballo su passu torráu nel “Corso di ballo sardo in rete”, lezioni di ballo sardo con tanto di manuale video con descrizione ed esecuzione da parte di ballerini.

Ascolta  Su Passu Torràu  (esec. Totore Piu)
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Ballo in piazza (carnevale anni ’80)

Su sàrtiu

Alla lettera significa “il saltare” ed è un ballo gioioso, caratterizzato da un passo più ritmato ed allegro, con delle puntate in avanti senza necessariamente rompere la rotondità del ballo formatasi con gli altri ballerini. Le coppie all’interno del “cerchio” hanno più libertà di movimento e possono eseguire autonomamente escursioni coreografiche differenti e vistose. Si balla praticamente in qualsiasi festa, sagra o manifestazione al pari di su passu torràu e come movimenti coreografici principali ha gli stessi de su passu. Sia su passu torràu che su sarthiu hanno una piccola variante da utilizzare quando ancora non si è formato il cerchio: chi “tira” il ballo, cioè chi sta in testa al ballo e trascina man mano tutti sino a chiudere il cerchio dei ballerini, rallenta il movimento eseguendo su ballu prantàu, praticamente “inchioda” il ballo, cioè esegue i movimenti del ballo con il corpo senza spostare i piedi per dar tempo alle altre persone di colmare il vuoto lasciato dai ballerini chiamati al centro del cerchio riprendendo la compostezza e l’armonia dell’insieme. Nessuno vieta anche alle coppie che si trovano all’interno del cerchio di eseguire a loro piacere questa tecnica.

Ascolta Su Sartiu (esec. Totore Piu)

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Su dìllu

É ballato anche da noi, ma secondo gli esperti sarebbe un ballo originario del Goceano composto da un solo movimento, ma a lungo andare faticoso, che consiste in due saltelli sul piede destro e due sul piede sinistro.
Di derivazione profana (come tutti gli altri), pare venisse anticamente eseguito come forma di scongiuro per le vittime della puntura de sa vàrja, (argia), un ragno, un insetto, un imenottero vespiforme la cui femmina è variamente colorata, da qui il nome vàrja (varia). La sua puntura (forse in determinati periodi dell’anno) pare sia molto tossica e per alleviare i dolori ed allontanare il pericolo della morte, si sotterrava sino al collo lo sfortunato individuo e si facevano ballare intorno sette vedove. Secondo altri colui che era “morsicato” dalla vàrja si sdraiava per terra al centro delle vedove che ballavano intorno.
Tale ipotesi sarebbe suffragata non solo dal fatto che da esso deriva un ballo specifico chiamato su ballu ‘e s’arza o arja, o de sa vàrja  (il ballo dell’argia), eseguito a passo di “dillu”, ma anche dal nome stesso del ballo. La parola dìllu sarebbe, infatti, una contrazione di “dilliriu” che significa delirio; inoltre le parole che accompagnano spesso la danza “dilliri, dilliri, dilliriana”, pronunziate da su hussèrtu, richiamano per assonanza la stessa parola “dillirium”. Un’altra ipotesi invece fa risalire il nome del ballo da “dillisu” (beffa, scherno) e sostiene che nei tempi antichi il ballo venisse eseguito dopo una razzia di bestiame (“bardàna”) come festeggiamento per essere riusciti a beffare i proprietari della mandria. In tempi più moderni veniva richiesto ed eseguito quando il clima era molto rigido, per scaldare l’organismo, trattandosi di un movimento a piccoli ma frequentissimi salterelli che a lungo andare affatica i ballerini.

foto: R. Ballore, A. Sedda, S. Deidda, Pablo Volta – collab. costumi F. Corda

 

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